venerdì 7 aprile 2017

L'età di mezzo


Capisci che hai una età anagrafica in cui gli ormoni la fanno da padrona quando ti commuovi allo stesso modo per le capriole di Nesli fatte in occasione della semifinale di celebrities Masterchef, come per i corpi allineati dei bambini che sembrano dormire il sonno siriano che non ha niente di giusto. Nessun ormone offusca la chiara visione di come, invece, dovrebbero andare le cose. I bambini dovrebbero capriolare, gli adulti, forse, meno cucinare.

Capisci che sei in quella fase della vita, quella di mezzo, in bilico tra una età non giovanissima, ma neppure troppo avanzata e una vecchiaia sempre più vicina, irrequieta come una adolescente in erba, ma più matura, quel tanto che ti permette, rispetto alle teenager, di comprendere esattamente la portata dei cambiamenti in atto dentro e fuori.  Capisci che non sei più quella di ieri, ma non sai neanche verso quale tipo di modello di donna ti stai avvicinando, e ti ingegni a vivere in balia degli eventi, adattandoti alle circostanze. I cambiamenti del corpo e dello spirito e quelli di un destino su cui lavori alla cieca, quelli no, quelli devi ancora capire come accettarli.

Capisci che la scimmia che ti gira intorno, invitandoti a ballare – più che di un invito parlerei di stalkeraggio, non è quella di Gabbani, ma quella dell’orologio biologico che ti ricorda che, c’è vita oltre gli ormoni, una vita, però, ancora difficile da decifrare. Perché sei lì, in mezzo all’età di mezzo, quella vicina al grande passaggio, in balia di variazioni ormonali che ti fanno amare a dismisura, l’arrivo, ancora puntuale, del tuo ciclo. E curi l’appuntamento con quel compagno con cui fai coppia da anni con un riguardo diverso, perché è con lui che tenti di riaccendere la fiamma dell’amore dentro una relazione che sai, sta per finire. Non hai mai amato le mestruazioni come in questa età. Lo avessero detto a quindici anni, non ci avremmo mai creduto.

“Non so bene quando succede che, il viso che ti accompagna ogni giorno da tanto a questa parte, a un certo punto ti molli, diventando diverso. Non saprei dire come, quando e in cosa è cambiato. Se siano le rughe intorno agli occhi, o la pelle più sottile della carta, o semplicemente che il tempo ci cambia senza darci un intervallo ragionevole ad accettare il nuovo adattamento. Anche le spalle si incurvano addolcendosi come i lati delle colline. Il turgore lascia spazio a nuove mollezze e le rotondità spuntano al posto della pancia una volta, tesa. Il problema di essere arrivate a quella età che sta nel mezzo, è che, non abbiamo ancora sviluppato un’idea diversa di noi stesse e siamo ancora legate a quella che avevamo di noi, prima di arrivare, dove siamo. Bisognerebbe cambiare approccio. Convertire in forza il cammino percorso. Bello o brutto che sia stato. Lasciare andare questo è il punto. Lasciare andare l’idea di quello che siamo state e accettare il cambiamento. D’altra parte, se invecchiamo, almeno siamo sicuri di vivere più a lungo. In questo senso l’invecchiamento è l’unico mezzo - per ora non ce ne sono altri in giro - per ricordarci che siamo ancora in pista. Che strane che siamo, noi persone, ci auguriamo la vecchiaia ma neghiamo di esserci arrivate. Arrivare a una certa età, ma sperare di dimostrare meno di quella età, oppure, portare a compimento quello che siamo destinate a essere, maturando lentamente e volgendo verso una nuova stagione, non necessariamente più brutta delle precedenti. Certo, la primavera presenta i suoi aspetti positivi, risveglia torpori e formicolii, certo, l’estate esplode di giallo e sembra ancora tutto possibile, all’inverno siamo ancora lontane, ma temo che, noi donne dell’età di mezzo dovremo soffermarci più sull’autunno, rivalutandola come stagione di passaggio e di raccolto.

Una stagione che è un giro di boa, la prova del nove su quanto siamo state brave a seminare. Dovremmo fare come i contadini. Abbiamo zappato la terra, divelto balle di zolla, arato, accudito, curato, amato. Dovremmo, ora, raccogliere i frutti. Fagioli, cicoria, bieta, carote, e le bacche di rosa canina che, non ho la più vaga idea di cosa siano, ma le immagino miracolose, estirpando la gramigna, i ricordi brutti che infestano la visione del futuro. La stagione in cui si accende la stufa e si raccolgono gli affetti veri, oppure quella in cui si va per boschi a sperare di fare incontri interessanti come i caprioli, in cerca di erba da brucare e attratti dalle case dai camini fumanti.

Oppure, navigare a vista senza l’uso di strumenti utili alla navigazione. Vivere così, come capita, come ci va sul momento adattandoci alle circostanze a mano a mano che le cose cambiano. A indicarci la via, solo le stelle di notte e i punti cospicui di giorno”.

Da Navighiamo a vista, libro che non so se vedrà mai la luce.

mercoledì 22 febbraio 2017

Bisognerebbe…quando la subordinata non necessita di congiuntivo


Bisognerebbe credere che una giornata storta è solo ripiegata verso terra per raccogliere una banconota da cinquecento euro perduta da uno sceicco qatariota che non ha urgenza che la si riporti indietro.
Che un piatto di pasta alla carbonara ha meno calorie di un grissino.

Che un cielo scuro è solo truccato di nero e che i carboidrati sono i veri amici del culo.
Bisognerebbe credere che quando si muore si diventa solo invisibili agli occhi, che il Piccolo Principe docet e che tutto il resto resta uguale; che nel matrimonio la pazienza conta come le risate, che dopo Nettuno c’è un pianeta popolato di esserini che si sbellicano dalle risate a vedere le nostre stupide acrobazie.

Bisognerebbe credere che la scienza è solo uno dei tanti approcci alla vita, che l’attesa fa bene al cuore, che i giramenti di palle contribuiscono all’incremento dell’attività fisica di tutto il pianeta, che la gravitazione non è l’unica forza davvero universale e che a tenerci incollati gli uni agli altri e con i piedi per terra ci sia anche altra roba, oltre al collante gravitazionale, chiamata, empatia.
Bisognerebbe credere che lasciare andare non è poi così terribile, che lasciare andare è come una marea, che poi se uno ti lascia per una più giovane e carina o per uno più giovane e carino puoi sempre pensare che sia la forza gravitazionale di cui sopra, sopravvalutata, la principale responsabile dell’andirivieni dell’acqua e degli ex.

Che il coraggio è una attitudine, che i figli sono il risultato di due aspiranti genitori in apprendistato professionalizzante, che sono la fonte di ispirazione d’amore perenne, una carezza di Dio.
Bisognerebbe credere che l’imperfezione è un vezzo, che la tristezza propone una sfida continua alla nostalgia, che entrambe perdono miseramente davanti alla tentazione di essere anche solo un poco felici.

Bisognerebbe credere che le maniglie dell’amore non siano sporgenze di adipe, ma pomi di cassetti che trasudano sogni. Qualcosa che somigli al tripudio di frutta alle feste di nozze, perché il tripudio di frutta, piuttosto ridicolo, erutta colori e speranze. Del tipo: se mi butto sulla frutta, spero di evitare il buffet della baldoria dei dolci.
Bisognerebbe imparare a dire realmente quello che si pensa, che i mandala da colorare sono una vera cagata, che le stanze di sale non fanno niente bene per la bronchite asmatica, che Melania Trump trova nel marito la giusta punizione per quel corpo da strafiga, che Selvaggia Lucarelli è acida come uno yogurt bianco senza zucchero, ma che mi piace un sacco quello che scrive, che i vini biologici fanno schifo e che la tendenza delle neo mamme all’uso incondizionato del metodo Montessori applicato a tutto è snervante.

Bisognerebbe imparare a dire e accettare i no, equilibrare i sì, ascoltare di più i silenzi, distribuire equi insulti secondo la regola del quando ci vuole, ci vuole.
Bisognerebbe invertire i ruoli del lavoro, sfruttare quello senile al posto di quello minorile almeno gli anziani davanti ai cantieri vedrebbero retribuito il loro passatempo e non servirebbe la videosorveglianza e i bambini potrebbero tornare ad essere pienamente tali, solo giocando.

Bisognerebbe credere che le maschere di carnevale sono una bruttissima prassi, che se sei la madre di una bambina e combatti per la parità dei sessi non puoi travestire tua figlia da Cenerentola, ma neanche da Anna di Frozen, perchè rischieresti di non riconoscerla e di portare a casa una altra bambina alla fine della festa essendo stata la centesima bambina con lo stesso costume alla stessa festa.
 Bisognerebbe credere che è giusto abolire le  chat dei genitori, che dovrebbe farlo lo stesso amministratore del gruppo  che le ha create e dovrebbe farlo alla prima stupidata sparata,  che è più giusto, in certi casi, usare la funzione broadcast di whatsapp. Si controlla meglio il diffondersi di cazzate come fossero epidemie. 
Bisognerebbe credere che dall’ozio non sempre si ricava il nulla, che la formica è molto più noiosa della ridente cicala e che non sempre una vita di sacrifici assicura una vecchiaia protetta, che forse… Lapo Elkann campa più del fratello John.

Bisognerebbe credere che l’irragionevole è bello, il possibile, possibile, il rumore, suono.

Bisognerebbe credere che ...una subordinata a volte ha bisogno più di un presente che di un congiuntivo, per respirare.

lunedì 23 gennaio 2017

Siamo tutti tuttologi. Di quando le persone pretendono di esprimersi in ogni campo del sapere, prediligendo le catastrofi


Ho sempre creduto di avere uno sguardo sul mondo disponibile e comprensivo. L’empatia è stata spesso la mia guida, più per inclinazione che per ragionamento, come familiare mi è stata sempre una certa tendenza all’ascolto. Ma caspita, ci vuole proprio un gran cuore oggi, a tentare di tenere ancora quello sguardo aperto e fiducioso sul mondo. Se è vero che la fiducia nelle relazioni va coltivata, come è vero che la stima si deve conquistare sul campo, con le azioni e con l’esempio, operativamente e senza chiacchiere, beh, allora, genere umano mio, siamo proprio messi male.

Siamo messi male quando deroghiamo alla nostra consapevolezza critica – ne abbiamo tutti, no? Ditemi che è così - in favore di una cultura digitale che omologa tutti verso il basso; siamo messi male quando prendiamo per oro colato, un pensiero, una informazione, quando neanche il buon senso fa più da censura. Siamo messi male quando, all’indomani di tragedie umane o calamità naturali, diventiamo tuttologi, esperti, specialisti di materie e settori di cui, prima dell’accaduto, non né avremmo sospettato neanche l’esistenza. Siamo messi male quando impartiamo consigli, quando facciamo previsioni, quando seguiamo la eco dell’invasione degli imbecilli, per dirla alla Eco, Umberto, intendo. Perché, se è vero che noi no, noi non seguiamo gli imbecilli, sicuramente li leggiamo, ci conviviamo e spesso cerchiamo di limitarne i danni. E forse, spesso, lo siamo anche noi. Più o meno, consapevolmente. Perché sì, l’imbecille fa più danni della grandine. Crea scompiglio, genera malintesi, caos. L’imbecillità è una condizione umana trasversale, senza distinzione di sesso, appartenenza politica, titolo di studio, professione o status economico. E’ arrogante il disprezzo contro l’imbecillità, come arroganti sono i giudizi perentori, decisi, fermi, dati senza alcuna cognizione di causa se non quella di una sommaria lettura di qualche post che funge da fonte primaria di informazione, o qualche convinzione di troppo.
E’ questo crea un danno enorme alla collettività.
Lo crea l’allarmismo contro i vaccini, perché fanno calare le coperture di tutti, facendoci arretrare di quindici anni; lo creano le proposte senza senso di una gestione alternativa dell’emergenza, che indeboliscono le responsabilità, non le rafforzano. Non si può dire che non ha funzionato la Protezione Civile, quando fanno parte del Servizio Nazionale di Protezione Civile i Vigili del Fuoco, le Forze dell'Ordine, le Forze Armate, il Corpo Forestale, la Croce Rossa, nonché tutta la Comunità Scientifica, il Soccorso Alpino e le strutture del Servizio Sanitario Nazionale. Non lo puoi dire con il sedere al caldo mentre tonnellate di neve inghiottono gente che, di riffa o di raffa, altri tentano di salvare. Puoi farti delle domande, puoi chiederti delle cose. Ma credo ci sia un tempo per il dolore e uno per la ricerca di cosa non ha funzionato e del perché non ha funzionato. E purtroppo sono molte le cose che in questi giorni in questo paese martoriato da scosse, gelo, incapacità, non hanno funzionato senza che vi si aggiunga il peso dell’imbecillità. Il danno lo creano le false informazioni, i qualunquismi, lo scarica barile, nella stessa misura di come lo creano le battaglie tout court. Perché anche gli obiettivi delle battaglie li devi scegliere bene. Specie in tempi di magra. Che se sai che puoi ottenere solo due, è inutile chiedere cinque. Abbassa le pretese e sii più realista, altrimenti rischi di perdere pure quei due.
Sarà che le delusioni più grandi sono quelle legate alle aspettative grandi, genere umano mio.
E siamo messi proprio male se ci allineiamo ad un piattume che ci rende più banali e mediocri di quanto effettivamente non siamo.