Torno,
con una certa irrequietezza, a parlare di argomenti vicini ai motivi per i
quali, questo blog è nato.
Maternità,
nelle sue diverse declinazioni, nelle sue innumerevoli sfumature, nei suoi
diversi significati. O forse, più precisamente, di Gravidanza, nelle sue diverse declinazioni, nelle sue innumerevoli
sfumature, nei suoi diversi significati.
Lo faccio, riportando la riflessione della
scrittriceMichela Murgia, sulla maternità surrogata che, dopo giorni di
scelleratezze e stupidità lette ed ascoltate, urlate dai fedeli sostenitori del
family day, da alcune correnti femministe, dagli oltranzisti difensori della “famiglia
tradizionale”, mi sembra il ragionamento più serio ed onesto, fin’ora
affrontato.
La
riflessione della Murgia nasce dall’appello contro la "maternità
surrogata"presentato da un pezzo del movimento Se non ora
quando -l’associazione Snoq Libere- che ha aperto il
dibattito a sinistra, denunciando i rischi di quello che viene
appositamente descritto come «utero in affitto». La Murgia non ha firmato l’appello,
spiegando in un corretto, integro e schietto ragionamento, la sua posizione.
“Da settimane mi ronza in testa
il fastidio legato all'appello firmato da molte donne (e tra loro molte che
stimo e con cui ho condiviso percorsi), ma che io mi sono rifiutata di firmare,
come tante altre. Non ho scritto ancora il perché e la ragione è che il perché
è complesso e richiede molta e collettiva elaborazione, che sospetto siano
alcuni degli aggettivi con cui non si può definire il percorso che ha condotto
alla stesura dell'appello di Snoq Libere. Vorrei iniziare l'anno condividendo
in post differenti alcune riflessioni che ho fatto in questi mesi sul tema,
cercando il più possibile di isolare le direttrici del discorso per affrontarle
con la minima confusione possibile, e intendo la mia, dato che questo è un tema su cui non ho certezze”
Prima
di cominciare a discutere di maternità surrogata penso che andrebbe definito
meglio cosa dobbiamo intendere per maternità
nel 2016. Se con essa ci riferiamo alla dimensione fisica e/o spirituale che
unisce al desiderio procreativo la
disposizione ad assumersi la responsabilità genitoriale su una vita altrui,
è escluso che essa si possa surrogare,
giacché è un atto di volontà e consapevolezza personale non alienabile.
È
fin troppo ovvio dire che non basti
restare incinte per parlare di maternità, ma forse non è altrettanto
ovvio ricordare che questa affermazione è una conquista civile piuttosto
recente. Per secoli siamo state infatti madri per forza, impossibilitate a
sottrarci al percorso del sangue e alle funzioni collegate, se non a prezzo di una
fortissima condanna sociale. Sono state le lotte del femminismo del secolo scorso a costringere la società a ripensare
la maternità fino a definire madre solo
quella che accetta di esserlo, trasformando in scelta individuale ciò
che era un destino collettivo.
Non
è quindi tollerabile oggi in un discorso serio sentir definire “maternità” il
processo fisico della semplice gravidanza, che in sé – e lo sappiamo tutte –
può escludere sia il desiderio
procreativo sia la disposizione
ad assumersi la responsabilità e la
cura del nascituro. Di conseguenza è improprio discutere anche di
maternità surrogata. Si può discutere invece di gravidanza surrogata, purché resti chiaro che si tratta di
qualcosa di profondamente diverso. Operare questa distinzione è tutt’altro che
ozioso, perché la legge italiana – entro i limiti che conosciamo – permette già
ora a una donna che resta incinta di scindere
i due processi e agire per rifiutare il ruolo indesiderato di madre, sia
attraverso l’interruzione di gravidanza, sia attraverso la rinuncia permanente
a curarsi del neonato.
Chi
si oppone alla gravidanza surrogata chiamandola “maternità” e adducendo come
motivazione l’unicità insostituibile del legame che si stabilirebbe tra
gestante e feto sta ponendo le condizioni perché gravidanza e maternità tornino
a essere inscindibili e quella sovrapposizione torni a essere usata contro le
donne SEMPRE, ogni volta che per i motivi più svariati provassero a scegliere
di non essere madri.
Reintroducendo
nel dibattito la mistica deterministica
del “sangue del sangue” non si sta quindi mettendo in discussione solo
l’ipotesi della surrogazione gestazionale, ma anche alcuni comportamenti che
sono già normati come diritti nel nostro sistema giuridico, cioè l’aborto e la possibilità di rinunciare alla potestà genitoriale,
per tacere dell’adozione, legame
di pura volontà che in questo modo – non originandosi “dall’avventura umana
straordinaria” della gravidanza – tornerebbe nell’alveo delle maternità di
serie B. Sbalordisce dunque che a
utilizzare la categoria del legame naturale siano donne che si richiamano al
percorso femminista.
La
motivazione è evidente: proprio perché un
essere umano non è una merce, in nessun caso il denaro versato alla
donna gestante può essere considerato un corrispettivo per il bambino, ma
sempre e soltanto una remunerazione
della sua gestazione. Si paga il tempo, si paga il rischio, si pagano le
assistenze, ma non si compra il
nascituro, la cui cessione avviene per pura volontà da parte di colei
che ne è a tutti gli effetti la madre fisica. Non importa di chi sono gli ovociti e lo sperma: anche la gestante
ci mette del suo, non è un mero corpo attraversato. Non importa nemmeno quanto
è costato il processo: il risultato sarà comunque un dono, che può restare in
mano alla sola persona che ha il diritto di considerarlo proprio fino a quando
non rinunci spontaneamente a farlo.
La
discriminante in un ragionamento da credenti non può dunque essere “quanto
voglio il figlio”, che è un desiderio legittimo sia sul piano emotivo che sul
piano simbolico, ma “quanto sono
disposta a usare il corpo di un’altra per ottenerlo”. Che lei me lo
conceda è relativo: il bisogno economico potrebbe spingerla a farsi mia schiava
come Bila lo fu di Rachele e in questo non c’è autodeterminazione. La mia a
prezzo della sua… è accettabile? Ed è autodeterminazione
il pensiero che mi impedisce di percepirmi pienamente donna se non divento
anche madre? Non lo so, perché questa spinta a riprodurmi non l’ho mai
avvertita dentro di me al punto da considerare un’ipotesi del genere. So però
che davanti al desiderio di un’amica,
di una sorella del cuore, quello che non ho chiesto mai a un’altra per
me stessa, lo farei io liberamente per lei. E non vorrei che esistesse una legge che mi dicesse che non posso farlo”.
Personalmente,
quello che trovo di più bello in questa lunga considerazione, è la certezza di
non avere certezza in materia e, di conseguenza, l’umiltà di dire “non lo so”,
ma se lo sapessi, vorrei poter essere libera di scegliere.