Le cose silenziose sono le peggiori, perché sono lì
e rosicchiano abitudini come i tarli delle vecchie credenze. Le cose
silenziose, che siano taciti bisogni, mute necessità o urgenze tacite, lavorano
di nascosto. Come i cinesi ammassati in grandi stanzoni. Silenti e in
condizioni disumane. Poi, quando le cose silenziose trovano la loro voce,
esplodono con la violenza delle cose silenziose. E crepano equilibri faticati e
annosi. Sollevano dubbi e non danno risposte. Le cose silenziose sono come le
salite che non ti aspetti: qualcuno dice trampolini, altri pendenze non
percorribili. Spesso mettono davanti ad un bivio, intraprendere o no un
viaggio. E allora riporto un brano di “Avrò cura di te” perché in fondo, poi,
ogni viaggiatore, alla fine ha voglia di tornare a casa sua.
“Ho sempre
avuto una fascinazione segreta per quei fachiri in movimento che sono i
maratoneti. La loro corsa è un viaggio in cui si incontrano culmini di
onnipotenza e strapiombi di disperazione. Chiunque affronti il percorso troverà
in agguato un chilometro di piombo, durante il quale i pensieri si
appesantiscono assieme alle gambe e la mente si rifiuta di sopportare il
dolore: vorrebbe soltanto arenarsi al bordo della strada. In quel momento il
maratoneta decide se ritirarsi o resistere. La crisi lo sovrasta e nessuno in
coscienza può dirgli quando finirà. Ma l'atleta fa una scommessa con il proprio
destino e rinvia la resa di un metro, di un altro, e poi di un altro ancora:
finché le gambe ricominciano a respirare un'aria più leggera. Tagliato il
traguardo, scoprirà che il chilometro di piombo lo ha trasformato. Avendo
oltrepassato la morte, è diventato immortale. E' di questo che andiamo in cerca
nei viaggi. Di una prova che consenta di comprendere chi siamo e di dare valore
a quello che abbiamo”.