mercoledì 25 febbraio 2015

La follia ha i gambaletti color carne


C’è che ogni città di provincia possiede il proprio “matto”. Persone fuori dagli schemi, al margine della follia, ai limiti. Probabilmente anche le metropolitane li hanno, solo che, per dimensioni, caratterizzano solo alcuni quartieri o zone precise. Noi di matti ne abbiamo avuti parecchi. Sarà per via della presenza degli inceneritori. I nostri matti, tutti tendenzialmente di buona indole (tranne uno o due) hanno contribuito a rafforzare l’identità della mia città.

Non sempre positivamente.

Ogni villaggio, ogni paese, ogni agglomerato di uomini, possiede il suo matto. Perché il matto è chi rompe gli schemi, chi non ci sta, colui che non si addomestica.

Ogni paese ha una leggenda, una storia. Certo, anche in questo la giustizia è mal distribuita: c’è chi ha il “Sabato del villaggio” e chi “Lu paciarellu de bocca porcu”- e non chiedetemi di tradurre- ma, a ben guardare, ognuno ha il suo giullare.

Tra i vari matti che son passati lungo le vie di Terni, una è rimasta nel cuore a tanti.

Era Ausilia, la brutta copia della Merlini. Avrà pesato sì e no un cento chili, una coda di cavallo bassa, ai piedi degli orrendi gambaletti color carne. Chiedeva una sigaretta, oppure cento lire. Mille, con l’inflazione. Si appollaiava nei punti nevralgici della città e con il sorriso sdentato che ti conquistava, ti induceva a darle anche più di quel chiedeva. Aveva gli occhi brilli. Come se emanassero la luce tipica di chi ha visto prima il brutto e avesse deciso di alzare lo sguardo, sopra. IL suo sorriso illuminava, eppure forse, era più sola di certe tenebre.

E non so perché, ma oggi mentre sfrecciavo con la bicicletta tra le vie del centro, tra una corsa e l’altra per incastrare orari e impegni, ho pensato a lei.

L’ho rivista seduta in maniera poco elegante, con le gambe pelose scomposte, sconnessa, affacciarsi da un mondo tutto suo.

E la cosa peggiore è che, l’ho salutata.

giovedì 19 febbraio 2015

Che rabbia...


Guardo mio figlio giocare senza che lui si accorga del mio interesse. Muove le manine ondeggiandole nell’aria come ballerine con le ali. Può anche darsi che muova i fili immaginari di personaggi apparentemente irreali. Non so che gioco stia inventando, che paese stia popolando, quale lotta abbia ingaggiato, arruolando giganti e gnomi.
Poi, lo sento bisbigliare.
Racconta, a qualcuno che non vedo, la storia che gli ho letto ieri sera. E’ la storia di Roberto, bambino alle prese con una cosa che si chiama, rabbia. La cosa gli esplode dalla bocca e, grande e rossa come un incendio, nella sua massima espressione, rompe e sconquassa oggetti, mobili, cuscini e giocattoli. Roberto, preoccupato dai suoi giocattoli feriti, pian pianino si calma e corre a medicarli, a riaggiustare le cose rotte, a riordinare. Poi, prende la “cosa” rimpicciolita e la infila in una scatola intimandogli di non uscire più.
Non credo che il racconto metta al riparo dalla collera, ma sentirmi dire da mio figlio”Ah, ecco cos’era allora quando mi arrabbio!”, mi fa bene.
Yoga, pilates, sport fino allo sfinimento e sani vaffa, non convogliano la rabbia verso altre direzioni. Comprate, invece, enormi scatoloni.

Come loro, nessuno mai, torna utile al bisogno.
 
 
 

" Che rabbia" di Mireille d'Allancé: Roberto ha passato una bruttissima giornata: appena arrivato a casa risponde male al papà e non vuole mangiare gli spinaci. Che rabbia! Ma quando la Rabbia si materializza, Roberto comprende quanto può essere dannosa...

mercoledì 11 febbraio 2015

Da grande


Amo i parrucchieri come si può provare affetto per una vecchia zia, cicciona, che ti strapizzica le guance lasciandoti il segno, mentre l’odore stantio di naftalina si mischia a quello di rosa selvatica quando ti bacia, ma ti regala soldi per il tuo compleanno e per ogni festa santificata e tu non puoi non volerle bene senza sentirti in colpa. Il parrucchiere, proprio come la vecchia zia, mi annoia a morte. Le mani che mi invadono la testa mi infastidiscono come un ospite sgradito, mi urta la perdita di tempo impiegata per migliorare il mio aspetto e mi indispettisce il mio aspetto che, ha bisogno che qualcuno lo migliori.

Il mio parrucchiere si chiama Gianluca, ed è una persona adorabile: lo amerei oltre misura se facesse, che so, il giardiniere.

E’ stato grande, quindi, il mio stupore quando, mio figlio, forbici in mano, mi ha annunciato che da grande, farà Gianluca della città.

lunedì 9 febbraio 2015

Il naso all'insù


Il suo naso all’insù mi ricorda la scala per arrivare alla luna. La sequenza di una linea curva che porta al sogno. Come se dall’altezza del suo naso, accessibile a pochi, si potesse godere di una vista, diversa. Più ampia, intrisa di cose belle, fradicia d’amore. E mi diverte passarci sopra il dito e poi tuffarlo fiducioso ad angelo. Con le braccia aperte ad accogliere.
Il suo profilo, è una delle cose migliori che ho fatto.

mercoledì 4 febbraio 2015

Mille gocce di pioggia


Oggi piove. Piove che Dio la manda.
La mia amica sta partendo. Raggiunge la sorella dall’altra parte del mondo. Loro sono le mie cugine, le mie sorelle. Riflettevo sul fatto che le mie amiche sono andate tutte via, fuori. Qualcuna pure fuori di testa.
Oggi piove. Piove fortissimo e pare che l’acqua, fredda, umida, voglia portarsi via tutto. E’ la giornata giusta per essere tristi, è la giornata adatta per struggersi di ricordi, per liquefarsi insieme a quei quattro decenni passati insieme, insieme alle cose che ti legano senza bisogno di parole “perché in quel momento si era insieme e nulla, lo può cancellare”neanche l’acqua. Il groppo alla gola mi cammina sulla trachea, su e giù, su e giù, avanti e indietro a solcare anche lo sterno.
Oggi piove. Piove fortissimo.
Mio figlio ha voluto indossare delle galosce orribili. Azzurre. Con la scritta della polizia e i lampeggianti gialli e blu sul davanti. Sono proprio brutte. Se ci penso, però, mi sembra che piova meno e che il sole faccia capolino anche dai piedi.

lunedì 2 febbraio 2015

Ti sposerò perchè...


 

Mio figlio mi vuole sposare.

Io, vigliacca, non gli ho mica detto che sono già sposata con suo padre.

A dire il vero ho farfugliato qualcosa sulla superiorità e la profondità del rapporto madre-figlio rispetto alle mediocrità delle relazioni d’amore che, per quanto grandi, restano pur sempre soggette al cambiamento. Ma non ho negato. Anzi.

Lo so, sto fornendo buoni spunti alla mia futura nuora per odiarmi, materiale di studio per analisti specializzati in complessi di Edipo, sto compromettendo un sano distacco e una salutare separazione. Lo so, lo so.

Ma, a me, nessuno mi ha mai voluto sposare con tanta forza, vigore, slancio e amore incondizionato, come il mio piccolo principe.

La nuora se ne farà una ragione e non sarò né la prima né l’ultima suocera odiata e gli analisti di qualcosa dovranno pur mangiare. Sul distacco, conosco gente il cui affrancamento dalla madre ha prodotto più danni della grandine.

Ho il cuore gonfio e tronfio di tanto sentimento. Incredibile quanto ce ne possa stare in un metro di bambino. Inammissibile quanto poco buon senso sia presente nella madre del metro del bambino. Ma in fondo, le cose dei bambini non si misurano in metri ma in voli.