lunedì 30 giugno 2014

Una scelta mai banale


Questo post è difficile.

E parla di aborto.

Lo dico subito. Non continuate a leggere, perché se fa male, fa male.

Leggo un articolo, e mi si piazza davanti agli occhi un’immagine che, non riesco a cancellare.

Vedo mio figlio che corre con il motorino. Da dietro al sellino lo abbraccia spaventata una ragazza dagli occhi liquidi. Sono impauriti, smarriti e cercano, forse nel modo sbagliato, di rimediare ad un errore. L’errore di due ragazzini alle prime armi con l’amore e con il sesso.

Per comprare la pillola del giorno dopo hanno fatto una colletta tra gli amici.

Quando si è giovani gli affari personali, si condividono con gli amici. Come i vestiti per le ragazze, come i sogni prestati di testa in testa.

Un dolore sordo al centro del petto me lo fa immaginare vagare come un delinquente a chiedere la ricetta per un farmaco che nessuno gli vuole dare.

Me lo vedo, in mezzo ad un calvario che io, non posso evitargli.

Due ragazzini spaventati che, corrono da una farmacia all’altra, trovando consultori chiusi e facce che li giudicano mentre sale la paura per una gravidanza per cui non sono pronti.

Ecco, se immagino, vedo il pericolo per un dolore che, potrebbe essere evitato se solo non vivessimo nel paese dei paradossi.

Un paese dove, sebbene un farmaco sia legale, è difficile trovare medici che lo prescrivano, dove quasi tutti i medici sono obiettori di coscienza, prima che dottori. Una coscienza che preferisce far vivere ad una donna uno dei dolori più devastanti, piuttosto che, fare il proprio dovere, mettendo da parte, idee personali.

Io odio l’aborto.

Lo odio perché interrompe, mette fine, azzera. Mortifica il domani, la prospettiva, il senso di futuro.

Lo odio visceralmente quando, è naturale, lo piango quando, è volontario. E non potrebbe non essere così, per una per cui, diventare madre, è stato una grazia.

Ma cerco di capire. Cerco di comprendere che non tutte le donne hanno le stesse possibilità, la stessa forza, lo stesso coraggio. Concepisco le scelte differenti dalle mie, come altro da me, ma mi calo sempre nei panni di chi le ha fatte proprie. E in qualunque caso, il prezzo pagato, è sempre eccessivo, per una scelta che, non è mai banale. Ritrovarsi nel vuoto di una perdita, non cambia di una virgola, quando lo strazio è subito. Anche quando è scelto.

 C’è una squadra di medici volontari dell’associazione Vita di donna, una rete di volontari che in tutta Italia si rende disponibile e reperibile ogni giorno fino alle sette di sera e il sabato fino a mezzanotte e che cerca di prescrivere la pillola del giorno dopo per evitare aborti.

A loro va tutto il mio sostegno e la mia stima.

Spero solo che, sulla strada di quei due ragazzi spauriti, ci siano ad attenderli persone capaci di comprendere.

Rossella Boriosi mi ha ispirato per scrivere questo.

Per tutte le amiche che sopravvivono ad un dolore, con tutto l’amore che posso.

Ad una in particolar modo.

Leggetelo solo se  avete il pelo sul cuore…

Cosa manca

Tu ed io non abbiamo mai guardato il mare insieme.

E la nostalgia mi aggredisce tendendomi il più brutto degli agguati.

Mi manchi e avverto la tua assenza come la peggiore delle perdite.

Dopo di te, questa sensazione di inquietudine, di attesa d’altro, per sempre.

Mi manca il figlio che non sei nato. Mi manca, l’insieme eterno di prime volte che non abbiamo avuto. Il senso di meraviglia infinita che è stato attenderti, anche per poco. Anche solo immaginare cosa ci avrebbe dato, guardarci, cosa sarebbe stato il tuo primo pianto, la prima parola, il tuo toccarmi.

E di nuovo guardarci e parlare e conoscerci. E sussurrare parole che hanno senso solo per una madre e per un figlio.

Non arrivo a pensarti come uomo. Siamo stati troppo poco tempo, attaccati.

Mi manca, non sapere.

Dopo di te, sapevo.

Sapevo che ci sarebbero stati giorni in cui avrei sentito le farfalle e poi un dolore sordo, che non avrei più portato il cuore gonfio di incanto che, non mi sarei più sentita sazia.

Essere paga è un esercizio che, dopo di te, non mi è più riuscito.

Ho provato ad adeguarmi. Senza successo.

Addosso la sensazione di aver sbagliato. La sensazione di un lutto che non ha fine.

Avrei voluto essere tua madre. Non la madre di un altro bambino. La tua.

Cucirti maschere per proteggerti il viso, galleggiare su barche di carta, dipingere di verde il tempo.

Invece, c’è questa madre, che madre non è, questa donna senza fondo che si cerca ancora e ancora e balla scalza sulla tomba di ciò che non è stato.

E ti sogna, malgrado, il tempo.

Ho vissuto altre prime volte.

Mille. Ho fatto il pieno di tristezze inspiegabili, di giorni lunghi e di domani che promettevano lusinghe.

Sono stata una donna dagli spigoli tondi che ha perso suo figlio nel ventre e che per tanto tempo non ha saputo scegliere tra il farsi abbrutire dal dolore o farsi nobilitare.

Ho combattuto contro il senso di inadeguatezza, il senso di sterilità di chi crede di non riuscire a far passare la vita attraverso nulla di se stessa, non dalle idee, non dalle mani, né attraverso la memoria. Ma la fortuna di un’altra donna non è la mia sfortuna.

L’ho dovuto ricordare.

Ogni volta che rincorrendo un desiderio ho addomesticato quel latente, subdolo, graffiante sentimento, simile alla nostalgia, l’ho ricordato.

Ho vissuto altre mille vite, riempiendo i vuoti di un universo bucato.

Ho amato, vissuto, viaggiato, riso, bevuto, amato, amato, amato tanto.

Niente che possa, comunque, lenire la mancanza di te.


 

 

 

 

 

 

 

venerdì 27 giugno 2014

Non di sola pma




Beh...se vi interessano notizie, interviste e recensioni dal mondo dello spettacolo, scrivo anche qua.

martedì 24 giugno 2014

L'amore al tempo dei mondiali

 
 
 
 
- Caro, ti devo parlare.
 
- Dimmi, pure, ti ascolto.
 
- E' finita.
 
- No, ci sono ancora i rigori.
 

cit.

giovedì 19 giugno 2014

Mostri a confronto


Quando il male ci somiglia, fa più male.

Quando il male non arriva dai brutti e cattivi, sporchi ediversi, ci sgomenta e ci spinge verso l’abisso dell’incomprensibile, del tutto è possibile, niente prevedibile.

Giù, giù, verso il baratro dell’impenetrabile.

Le favole ci hanno insegnato che il male è riconoscibile in qualche modo. Nessuno ci aveva preparato all’eventualità che Geppetto potesse, un giorno, sgozzare Pinocchio, o che il padre dei tre porcellini, potesse uccidere una ragazzina e far finta di nulla per tre anni, raccontando un modo di bugie, di rapporti familiari ambigui, di figli illegittimi, di doppie vite.

Tutto questo male sembra una guerra senza fine. Il rapporto Eures-Ansa prova che la famiglia è il contesto in cui avviene il maggior numero di delitti. Ammazzano più padri di famiglia che i protagonisti di Gomorra.

E l’orrore di questo male sta proprio nella banalità dei suoi interpreti: persone normali.

Ieri, leggendo questi due articoli, diversi ma entrambi molto belli,”Un papà con una vita normale non ammazza e Lettera ad un uomo mai nato riflettevo:

riflettevo sui segni lasciati sul mio corpo dal sole della Sicilia, dal bianco dei lacci del costume.

Prima di Daniele non c’erano. Prima di Daniele c’era il sole e l’ambra di un’abbronzatura presa quasi fosse un lavoro, stesa sulla spiaggia, a riposare, a leggere, a sonnecchiare. Con Daniele ci sono segni ovunque, e corse sulla spiaggia e castelli di sabbia e braccioli e risate e fatica, di quella che ti riempie il cuore, gonfiandotelo.

Con Daniele non c’è tempo. Il tempo è scandito dalle sue esigenze, prima che dalle mie, dai suoi bisogni.

E quel poco tempo che c’è, corre in fretta. Non ha premura di attendere i tempi miei. Possiede urgenze diverse. Possiede l’impellenza tipica del diritto. Il diritto a non conoscere la tristezza, il diritto a desiderare, sperare, scegliere, credere. Il diritto di un bambino ad essere felice.

Con Daniele ci sono orari da rispettare, capricci da far sfogare, abbracci da dare e tentativi di dosare regole e amore. I mojito sono più leggeri ed hanno un sapore diverso.

Anche il tramonto sul mare ha un colore differente. Perché si spera che quella bellezza sia per sempre, per sempre visibile, per sempre salvezza, capace di fargli vedere oltre un mondo fatto di pece.

Perché tu lo sai, tu che metti al mondo un figlio, quando ci riesci, lo devi sapere che non sarà più come prima.

Tu, non sarai mai più come prima. Cambieranno le prospettive, le priorità,  i pioli delle scale dei tuoi valori.

E’così, dalla notte dei tempi. Senza retorica, senza possibilità di fuga.

Quella creatura che hai messo al mondo verrà sempre prima. Prima della stanchezza, prima dei giramenti di coglioni, prima della voglia di andartene. Prima.

Quando comincia questo “prima”, non lo so con precisione.

Per qualcuno nella pancia, per qualcuno, dopo, per qualcuno con il tempo.

Ma a un certo punto il prima ed il dopo si dividono, nettamente. Diventano uno spartiacque, diventano, bivio.

Ti ho guardato, odoravi della mia pancia, del mio dentro, eppure ho sentito subito che eri già una persona autonoma”, una persona che, verrà sempre prima dei miei desideri.

Questo è normale.

E’ normale avere paura, è normale sentirsi inadeguati, è normale cercare quello che si era prima.

E’normale, sentirsi felici, accarezzandoli.

E’ normale morire e rinascere con il proprio figlio. Con lui muori come persona unica, come figlia/o, e con lui nasci come persona nuova.

E’normale cercare con ogni poro della propria pelle di difendere quel figlio per cui, è normale, ti faresti uccidere.

“Mi capita di spiare certe madri "emancipate", che guardano i loro figli con facce tristi, perplesse. Come mai, mi chiedo, questi figli tanto voluti, poi, non danno nessuna felicità? Non godersi i figli, che spreco. Poco spazio per l'anima, che peccato. Perché poi dove stanno i figli? In una certa arcaicità che non dobbiamo smettere di rivendicare, quella semplicità che sembra diventata una fatica. Ai figli bisogna lavargli il culo, raccontargli una favola, bisogna fargli il sugo buono, e riempirli di baci.

Perché poi non basterà il cellulare per seguire i loro spostamenti. Crescono in fretta, diventano adolescenti dagli occhi in fuga e dai passi strascicati. E spuntano quei delitti epocali, che segnano la nostra coscienza, la fanno sanguinare. Mattanze che s'appoggiano come un macabro santino sulla porta delle nostre case. Insieme alle domande. La madre era feroce, diabolica? No, era una donnina aggraziata. Il padre era uno stupratore? No, il padre aveva un cappotto, si alzava il bavero e andava a lavorare. Era tutto qualunque, tutto decente. Era dentro. Era dentro nel nostro mondo senza mosche”.

“Perdo coraggio, indietreggio. Come faccio a difenderti?”.

MARGARET MAZZANTINI

Questo è normale, che un genitore si chieda.

Sono tornata.

 

 

 

 

 

 

mercoledì 4 giugno 2014

martedì 3 giugno 2014

Dentro ad un bicchiere


C’è che uno sbalzo di pressione mi ha fatto agitare.

Ha scosso e rimescolato sentimenti liquidi come dentro ad un bicchiere mosso.

L’idea che ti possa succedere qualcosa, a te, roccia solida ed imponente, mi ha fatto tremare.

Siamo diversi, noi. Tu, razionale e positivo, lineare e sereno, come un bicchiere sempre pieno.

Io, insensata ed illogica, un fumetto dal finale incerto. Un bicchiere mezzo vuoto.

Da ottimista quale sei, tendi a guardare il lato positivo delle cose e assumi la buona fede delle persone.

Neanche il mio disfattismo riesce a scalfire la tua innata positività.

E’ così che mi ami. Come un bicchiere mezzo pieno che può sempre riempirsi di più, all’improvviso, in modo innato. Oppure svuotarsi senza possibilità di riempimento. Quando l’orlo è riempito, non ce né, malgrado il sentimento, se la misura è colma, segue la frattura.

“Ci terremo semplicemente per mano e andremo con passo leggero, dicendo cose insensate, stupide e care”.
 E’ così che voglio invecchiare, insieme.

A passo leggero, dicendo cose stupide.

Ed è così che abbiamo riso su questo sbalzo di pressione; mentre io ti chiedevo di fare cose che escludessero la presenza di un ictus ( dimmi una frase di senso compiuto, alza le braccia, muovi la lingua) e tu che, per farlo apposta, mi chiedevi chi fossi con voce incerta e perché mi trovassi in pigiama sul tuo divano, al posto di una badante bionda, dalla coscia lunga e disponibile.