martedì 22 aprile 2014

Com'è difficile crescere.


Claudia De Lillo, alias Elasti, mi piace tanto. Giornalista per D di Repubblica e Reuters, blogger, scrittrice e mamma, forse una delle più note del web, mi piace perché racconta “cose” con l’ironia tipica delle persone intelligenti che nascondono la profondità nell’immediatezza e la sensibilità tra le righe. Lascia sempre che l’emozione suscitata, resti lì appesa, tra un sorriso abbozzato e una sacrosanta verità.

Un suo articolo “ Quanti imbarazzi bisogna vincere per crescere bene” mi ha fatto riflettere su quanto sia difficile “liberarsi progressivamente dagli imbarazzi, acquisire sicurezza, emanciparsi dal pregiudizio altrui” in poche parole, accettarsi.

Claudia descrive il bisogno di normalità di suo figlio, adolescente. Quel concetto di normalità, astratto e senza senso, proprio di chi, trovandosi in quella zona relazionamente persa, aspira all’invisibilità, alla trasparenza, all’uniformità ad un branco che dia sicurezza.

Il concetto di normalità”tanto rassicurante, quanto astratto e inesistente, è un’ambizione legittima dell’infanzia e dell’adolescenza, perché crescere, è un’attività impegnativa, insidiosa, che necessità anonimato più che le luci della ribalta”.

Poi, Claudia descrive gli imbarazzi vissuti da adolescente, le cose per cui provava vergogna e dalle quali, in fondo, nessuno si emancipa mai, del tutto.

“Io, da ragazzina, mi vergognavo di avere genitori separati, di chiedere informazioni per la strada, di uscire di casa con il mascara, e, qualche anno più tardi, di uscire di casa, senza, di ammettere di non avere fatto né la cresima, né la comunione, di rivelare le mie origini ebraiche, di dire che mia nonna era comunista, di interagire con le commesse dei negozi di abbigliamento, di chiedere scusi dove è il bagno? di indossare scarpe che mostrassero le dita dei piedi, di comprare gli assorbenti, di stare al mondo…Poi la vita si complica da sola, anno dopo anno,senza  bisogno di paturnie auto inflitte”.

Così si cresce, si impara la giusta dose di sicurezza per scoprire le dita dei piedi, comprare gli assorbenti, mettere gli occhiali, anche se rimane sempre un certo disagio, nell’indossarli.

Questa cosa dei piedi mi ha fatto molto ridere, perché per anni ho nascosto i miei, senza un reale motivo.

Da ragazzina sono state molte le cose per cui ho provato imbarazzo. Una schiena con la scoliosi, un gesso, un busto, un seno grande, un senso di inadeguatezza latente. Mi vergognavo di  essere poco interessante o esserlo troppo, di chiedere informazioni, di essere foglio bianco su cui dover scrivere. Di essere triste, di non avere mio padre.

Quella vergogna e quell’ansia di normalità, le ho incontrate la prima volta lungo il ponte che trasporta dall’infanzia all’età adulta. Mi sono appoggiata ai lati negativi di una zona di passaggio e transitorietà, provando crisi e disagio che ho combattuto, vincendo e perdendo a fase alterne.

A volte, quando le mie fragilità mi inchiodano davanti a specchi nudi, prendono di nuovo forma, aggredendomi come allora. 

 

“Cercate di fare i normali” chiede il figlio di Claudia, perché imbarazzato da tutto quello che non controlla.

Ed è difficile controllare un corpo che cambia, ormoni che scalpitano, la vita che pulsa. E’ difficile contenere l’imprevedibile.

Mi viene in mente quella storia sul passare del tempo: che a venti anni te le prendi perché o sei troppo o troppo poco, a trenta, pure, a quaranta lo accetti, a cinquanta ti ci abitui, a sessanta interroghi di meno, a settanta, non ti interroghi più, a ottanta te ne fotti e ridi.

Non so se sia davvero così.

Mia mamma mi dice che soffre ogni giorno nel vedere che gli anni consumano la sua vita ed il suo corpo, anche se non perde troppo tempo a crogiolarsi.

E allora quello che hai invocato più di ogni altra cosa nell’adolescenza, la normalità e l’invisibilità, è invece, proprio quello che speri non lasciare dietro di te.

Ti auguri, invece, di essere stato a tuo modo, unico, speciale, almeno per qualcuno, almeno per chi ti ha amato.

Se solo avessi saputo che, chi mi ama, ama anche i mei piedi, avrei messo molti, ma molti più sandali.

Forse, nelle mie giornate sì, li avrei messi anche se chi mi vuol bene, non li avesse amati.

 
La più sorprendente scoperta che ho fatto subito dopo aver compiuto sessantacinque anni è che non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare.

 
La grande bellezza.

 

 

 

 

 

 

 

5 commenti:

  1. Bellissimo post! Mi hai fatto tornare in mente tutte le mie paure, le mie ansie e quella voglia di invisibilità che ha caratterizzato gli anni della mia adolescenza.

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    1. Presente all'appello...e porto sandali solo da pochi anni!

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  2. Idem. E quante volte ho dovuto rassicurare genitori e adolescenti in allarme per le loro paure, che nove volte su dieci spariscono come arrivano.

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  3. Anch'io ho cercato spesso di essere invisibile, pensavo fosse per la presenza di due genitori ingombranti perché attorno a me vedevo molti coetanei pieni di voglia di mostrarsi ... ma forse era solo un diverso modo di reagire all'imbarazzo, mettendo una maschera.

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  4. Mia madre mi chiamava nel bel mezzo della notte, mentre io ero intenta a godermela con i miei amici, quando tardavo di 5 minuti sull'orario di rientro stabilito. Un trauma adolescenziale che dubito sarò mai in grado di suprare!

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