Venerdì sera è morta improvvisamente la mamma di una mia amica.
Era giovane. Si è svegliata nella notte, ha sentito un rumore sordo al
centro del petto ed è morta. Neanche il tempo di farle una camomilla, neanche
il tempo di dirle quanto i suoi cari l’hanno amata. E’ morta tra le braccia del
marito, silenziosamente.
Così senza preavviso, senza avvertire, senza dare il tempo di preparare
le figlie a vivere una vita senza di lei.
Il suo compagno l’ha abbracciata e lei si è abbandonata. Lasciandosi
andare altrove.
Le sopravvive anche sua madre. E credo che non ci sia dolore più grande
se non quello di continuare a vivere dopo la morte del proprio figlio.
Sabato mattina c’è stato il funerale e tra le lacrime e il dolore per
una madre che lascia questa terra, ho sentito la più strana delle omelie.
Un’omelia di stampo aziendalistico. In linea perfetta con gli standard
europei.
Infatti, il prete ha detto, testuali parole che: ”Chi ha espletato un curriculum
umano di tutto rispetto, rasentando la perfezione, è chiamato dal Signore. Non
importa quanti anni hai, cosa ti rimane da fare. Se hai un buon curriculum
umano e sei talmente buono da sembrare pronto a Dio, significa che è venuto il
tuo tempo.
Fine, stop. Obbligo di fermata.
Tutti sappiamo cosa sia il curriculum vitae et studio rum, più
comunemente curriculum vitae oppure, semplicemente, curriculum, che tradotto
dal
latino significa corso della vita (e degli studi), ma non chiedetemi cosa sa quello
umano.
Davvero, non ne avevo mai sentito parlare. Sebbene immagini di cosa si
tratti, non ne ho una definizione terminologica.
Poiché il primo è un documento redatto al fine di presentare la
situazione personale, scolastica e lavorativa di una persona a un datore di
lavoro ed è il primo approccio tra candidato e datore, onestamente, non vedo perché
uno dovrebbe mandare il suo curriculum umano al Signore a meno che non si sia
proprio scocciato di vivere. Nel qual caso però, credo che il suicidio non
rientri tra le esperienze formative ritenute positive. Oppure è un modo di dire
a Dio che non si è soggetti al licenziamento, perché si va via decidendo da
soli. E il più delle volte, sbattendo la porta.
Non so perché, ma per i cattolici la morte è sempre una promozione. E
giù a sciorinare di quanto stia bene ora il defunto e di come, chi resta, debba
esserne contento.
Beh, non te la prendere prete. Io so che tu fai il tuo mestiere. Ma
lascia a chi resta il diritto di essere incazzato, di urlare, sbattere la testa
contro gli spigoli e tirare per i piedi il proprio caro. Fino a che esausto lo
lascerà andare, sperando che la separazione diventi più sottile del vento e dell’aria
e che sia capace di ritrovare la persona persa in ogni frammento di cielo e di sé.
Ma torniamo al curriculum vitae.
Considerando le sezioni standard per organizzare le informazioni in
modo tale che siano facilmente leggibili da parte di chi riceve il curriculum
vitae, concordo su:
- I dati anagrafici;
- La formazione.
- Le esperienze professionali;
- La conoscenza delle lingue straniere;
- Gli hobby e gli interessi;
- La liberatoria.
Ma mi chiedo, come organizzare le sezioni del curriculum umano?
Cosa inserire nelle esperienze professionali?
Buono in apprendistato professionalizzante?
Dovremmo forse scrivere una roba tipo, cose buone svolte, cose cattive
pensate o fatte, peccati.
E che peso dare ai cattivi pensieri, che voto dare al bene, all’altruismo,
alla giustizia, all’integrità morale, eppure all’odio verso chi fa del male?
In quest’ottica forse ha un senso il detto”Se ne vanno sempre i
migliori”. Forse hanno un buon curriculum.
Mi chiedo però, visto che mi scoccia morire, perché vorrei vedere come
va a finire la faccenda delle primarie, perché non posso pensare di non veder
crescere mio figlio, perché lasciare chi si ama fa un male cane anche dal
paradiso o dall’inferno e cerco di non andare ai funerali degli altri, sperando
così che gli altri non vengano al mio: non sarebbe meglio essere un tantino più
cattivi, così tanto per allungare di un pochino il tempo di perfezionamento
sulla terra?
Il segreto credo sia barare un pochino sulle esperienze professionali: poca esperienza in buone azioni, o troppa
poca competenza nel settore “bontà”per meritare di essere chiamati prima di
terminare la personale best practice.